Recensioni cd: Queens Of The Stone Age - Era Vulgaris
Il quinto attesissimo album dei Queens Of The Stone Age, succede al non privo di critiche “Lullabies to paralyze” e sembra proseguire sul sentiero decisamente più commerciale tracciato da quest’ultimo. “Era Vulgaris” è il titolo latino che Josh Homme utilizza quale metafora per il periodo in cui viviamo alludendo all’accezione moderna del termine in cui volgare è associato ad indecente, sconveniente, osceno. I 12 brani di “Era Vulgaris” presentano un rock molto meno potente rispetto a quello dei lavori precedenti e canzoni meno articolate con un sound stoner combinato a ritmiche ipnotiche. La tendenza generale e è stata quella di semplificare gli arrangiamenti. Il cosiddetto robot rock, definizione che il leader dei Q.O.T.S.A. ha spesso utilizzato per definire il proprio stile, diventa in alcuni punti quasi logorante per gli ascoltatori: giri ripetuti all’infinito, basso ridondante e un drumming elementare e ripetitivo. Ci sono comunque idee interessanti e brani non privi di una certa originalità ma canzoni eccellenti come No One Knows mancano, ed è una assenza che si fa sentire. Malgrado le collaborazioni illustri, sull’album sembra pesare una vena artistica ormai consumata che vede con nostalgia i fasti di “Songs for the Deaf”. Comunque i contributi di Trent Reznor dei Nine Inch Nails, Mark Lanagan che canta in River in the Road e Julian Casablancas presente nel singolo Sick, Sick Sick, sono ridotte proprio all’osso, quasi impercepibili. In ogni caso, come dicevamo prima, belle canzoni non mancano, da segnalare la title track Era Vulgaris (non presente nella track list ufficiale) molto coinvolgente ed efficace, Make It With Chu dal sapore southern rock, registrata durante una delle tante desert session e Sick, Sick, Sick con il suo sound profondamente stoner e ipnotico da cui è stato tratto il singolo ed anche il video. “Era Vulgaris” è, in sostanza, un disco eterogeneo, il cui sound rimane coerente con lo stile dei Q.O.T.S.A. ma risulta privo di quella forza travolgente e quell’originalità del passato. Inoltre la mancanza di Olivieri al basso e di Grohl alla batteria si ravvisano immediatamente e conferiscono alle 12 tracce un sapore leggermente anonimo. I tempi di Songs for the Deaf appaiono, con uno sguardo non privo di qualche rimpianto, orami lontani.
Note
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