Recensioni cd: Radiohead - In Rainbows
A volte le grandi attese falsano giudizi e critiche sulla reale consistenza di un album, e più l’artista è di rilievo e maggiormente la sentenza subisce influenze di carattere storico e circostanziale.
Va detto che “In Rainbows” non porta con sé la presunta, annunciata e auspicata svolta sonora di Yorke & company (i brani sono quelli proposti nei live degli ultimi anni, modificati e limati a seconda delle esigenze), non rappresenta l’opera massima di un gruppo che ha già conosciuto - forse in maniera quasi inaspettata - il successo planetario e non si distacca molto - come suoni e visioni - da tutto quello che ha saputo mostrare nell’ultimo decennio.
Quindi, come possiamo continuare ad amare un gruppo del genere? Come si può ancora considerare questa band come il faro della popular music degli anni duemila? Noi, che ci siamo incantati di fronte alle melodie infinite di “Ok Computer” e le sbalorditive sterzate di “Amnesiac”, in che modo possiamo farlo? Lo facciamo perché Yorke possiede la soluzione dei problemi metrici; il suo attacco in “Bodysnatches” contiene quell’impercettibile scarto che lo fa essere avanti agli altri senza – apparentemente – muoversi di un millimetro.
Insistiamo ad ascoltarli perché i Radiohead sanno cambiare scenario nello stesso brano con una semplicità disarmante, vedi gli switch improvvisi nella fatalista “Weird Fishes/Arpeggi” o l’apertura melodica nel finale della profonda “All I Need”. Sanno abbassare i cursori quando è il caso di creare atmosfere sublimi (“Faust ARP”), riescono ad innescare ritmi dall’incedere frammentario (“15 Step”), pur mantenendo gli ostinati tematici (“Reckoner”).
Dobbiamo amare ancora questa band perché esprime – grazie alla voce disturbata di Yorke – un’urgenza comunicativa che non conosce simili e che continuerà a rappresentare un modello dal quale non ci si potrà allontanare più del dovuto, come per una nave è necessario vedere un faro nel buio di una notte senza stelle. p.s.: Non si può ignorare la distribuzione tramite download a libera offerta del settimo lavoro in studio della band di Oxford. Per sapere se è questa la strada giusta da seguire bisognerà aspettare l’esito dell’operazione che comunque – a priori - non sembra una soluzione definitiva (ammesso che ce ne sia una), ma una specie di ripicca verso le major e i loro metodi, che fa seguito ad altri tentativi avvenuti di recente (Prince, Lucio Dalla ecc…).
L’evento meriterebbe una parentesi più ampia vista la difficile situazione che attanaglia il mondo della distribuzione discografica. Ne seguiranno altri e di vario genere, speriamo solo che si trovi presto una soluzione che non danneggi ulteriormente gli artisti emergenti e che la musica, al minimo storico in fatto di attenzione mediatica e valenza culturale, non subisca ulteriori svilimenti.
Roberto Paviglianiti
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