Astarte Syriaca - Darkened Light (Recensione)
Benedetto sia il Progressive quando è suonato con il cuore. Spesso si accusa questo genere di essere freddo e distaccato dalla realtà; di disegnare un puro esibizionismo fine a se stesso. Non è il caso dei romani Astarte Syriaca, una giovane band che dà alle stampe un disco veramente geniale e brillante.
La formazione italiana nasce nel 2003 e si esibisce, fin dai primi anni di attività, in live che coinvolgono alcuni dei più famosi locali romani (partecipando ai vari eventi musicali organizzati dal Comune della Capitale). Nel 2004 la registrazione del promo “Astarte Syriaca” viene affidata al 16th Cellar Studios di Roma.
Nel 2007 iniziano a incidere il loro primo cd “Darkened Light”. Il disco è una manna per gli amanti del genere. Un gusto musicale che va al di là del semplice esercizio di stile raccoglie idee interessanti dall’Hard Rock d’annata (Approaching Light è un piacevole miscuglio di tastiere alla Yes e di riff di scuola Deep Purple) e dal Progressive Metal più elegante e raffinato (affiorano qua e là i cambi di tempo tipici dei Dream Theater e la potenza espressiva dei migliori Symphonix).
Il lotto si mostra molto vario e il cd difficilmente uscirà dai vostri lettori. Tutte le tracce (fatta eccezione per l’emozionante Monologo in lingua italiana Sole Ombre) sono state scritte, arrangiate e registrate in maniera impeccabile dal gruppo stesso (agli Zoo Symphony Studio di Roma). Ne viene fuori un lavoro che mostra una spina dorsale ben precisa dall’inizio alla fine (in genere si cavalcano atmosfere malinconiche dalle tinte tanto fosche quanto affascinanti).
Difficile scegliere una traccia in particolare. Si tratta di una serie di brani ben congegnati, incastonati tra feroci assoli chitarristici e dolci digressioni pianistiche. Un plauso particolare va alla straordinaria voce di Valentino Moser. Il cantante passa con incredibile facilità da momenti nevrotici dalla devastante potenza espressiva, a passaggi in cui ci coinvolge e ci emoziona con sussurri che danno alla sua voce una veste teatrale molto calda e avvolgente (la giusta fusione tra l’eleganza di James LaBrie e la stravagante genialità di Daniel Gildenlöw).
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