Jarvis Cocker e il Brit Pop
La vendetta furiosa della melodia. Dopo quasi venticinque anni di progressive e psichedelia (di dominio prettamente americano), gli anni ’90 furono travolti dalla rinascita British. L’opinione pubblica tornò ad assaporare il gusto per la semplice commistione tra impatto melodico ed energia musicale. Sebbene negli U.S.A. stava prendendo piede in maniera piuttosto evidente anche il Post-Rock (in reazione al grunge da classifica) il vero evento che caratterizzò musicalmente l’intera decade fu proprio il Brit Pop. Il fenomeno scosse il pubblico e la critica, cavalcando un’onda mediatica impressionante. La pressochè totale assenza della componente blues, accostata ad un cantato vivace, esuberante e sfrontato, contribuirono alla formazione di uno stile unico. Il prodotto artisico è quasi sempre frutto del contesto storico in cui si realizza: generalmente da epoche tratteggiate da trends positivi scaturiscono proposte accessibili e poco tumultuose. La fine della depressione economica in Inghilterra, all’inizio degli anni ’90, portò dunque ad una rinnovata voglia di vivere da parte della gente comune. Nonostante l’enorme succeso, il termine Brit-pop divenne, almeno in principio, un termine denigratorio, associato a fenomeni di dubbia qualità. All’interno di questo scenario, ogni gruppo venne accostato, per somiglianze vere o presunte, ad altre formazioni provenienti dal passato. Il ruolo rassicurante ricoperto dai Beatles venne dunque interpretato da Blur e Pulp, mentre sulle orme dei Rolling Stones, in fatto di insolenza, si avviarono gli Oasis. Attivi dal 1982 i Pulp balzarono all’attenzione del grande pubblico nel 1994 con l’album “His and Hers”, consolidando la propria posizione con “Different Class” del 1995 (disco è da annoverare tra i classici del Brit Pop). Le fortune del gruppo furono in parte attribuite al carisma mediatico del leader Jarvis Cocker, una sorta di front-man elegantemente teatrale. La sua voce entra di diritto tra quelle che caratterizzarono il periodo; il suo approccio fu quasi sempre dei più mutevoli, alternando un timbro ombroso e spossato ad uno più solenne ed aperto (specie nei ritornelli). Common People (un inno glam dal lento incedere) e Disco 2000 (il suo riff iniziale è di quelli che lascia il segno) regalarono alla formazione inglese il successo commerciale e la fama internazionale. Da sottolineare come il gruppo di Sheffield, soprattutto nell’ultima parte della sua carriera, non abbia tentato di replicare tale successo commerciale preferendo piuttosto rimanere ancorata ad un’idea di Pop raffinato ed eclettico lontano dalla logica singolo – video – album. L’ultima prova in studio dei ragazzi risale al 2001 (“We Love Life” non riesce a cutturare le attenzioni che avrebbe voluto, regalando tracce sottotono e poco originali). Jarvis Cocker – Jarvis Label: Rough Trade Voto: 3 M Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Quando sei stato uno dei padri fondatori del Brit-Pop è difficile che la tua vita venga folgorata da immagini rurali e campestri (a meno che non si parli di Damon Albarn è ovvio). Ma qui si tratta di Jarvis Cocker, band leader dei Pulp, storica formazione di Sheffield attiva ormai dalla metà degli anni ’80. Il nostro istrione non si smentisce e il suo primo lavoro da solista non si allontana poi molto dalle sonorità esplorate con la sua band. Atmosfere elettriche e solenni si alternano in maniera quasi meccanica con momenti più raccolti e intimi. La voce di Jarvis c’è ancora; sa ancora emozionare e divertire come qualche anno fa, dominando con estrema facilità sia lo scorrere incessante delle chitarre elettriche sia il lento procedere di appassionanti episodi pianistici. Non che il nostro sia stato con le mani in mano ultimamente. Dal 2001 Jarvis si è dedicato infatti a svariate collaborazioni: quella con Charlotte Gainsbourg ha fatto seguito ai tre brani scritti per la colonna sonora del quarto episodio cinematografico di "Harry Potter" (senza contare il progetto Relaxed, lavoro elettronico realizzato sotto i panni di Warren Spooner). Paiono lontani, è ovvio, i fasti di "Different Class" e di "This Is Hardcore" ma Jarvis non sembra farsene un cruccio; gli arrangiamenti più elementari e diretti ricordando i viaggi elettroacustici di Paul Weller nonché alcune delle stralunate idee di Joe Strummer. Fat Children è condita da un Indie-Rock sanguigno e irruento costruito attorno alla furia delle chitarre e al monolitico muro eretto dalla sezione ritmica. Il cantato di Jarvis subisce l’ennesima trasformazione, vestendosi di un’impresionante irruenza ed arroganza. Il pezzo che prende l’ascoltatore per la gola è tuttavia Don’t Let Him Waste Your Time; la magia è quella dei tempi andati: il fascino della melodia rassicurante e spensierata si sposa alla perfezione con un riff elettrico sbarazzino e divertente (l’essenza dell’intrattenimento). La seconda parte del disco (questo bisogna dirlo) non è all’altezza dei primi brani del lotto. Esuberanza ed energia lasciano il posto a momenti più sobri e noiosi (il caso della fiabesca filastrocca che abita in From a to i) per cullare e disilludere le speranze dell’ascoltatore. Non gridate al miracolo dunque dopo appena quattro tracce ma aspettate che l’album sia terminato per trarre le vostre conclusioni. Intanto noi Jarvis lo promuoviamo con la classica frase di fine anno: il ragazzo potrebbe dare di più ma appare un tantino svogliato.
04 settembre 2007
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