Esistono in natura, ma anche nei sistemi artificiali, degli equilibri e delle alchimie che, quando un elemento viene a mancare, inevitabilmente si sfasano, perdono la loro stessa essenza e, nel peggiore dei casi, il proprio motivo d’esistere. È il caso anche di certi gruppi musicali: i Doors senza Jim Morrison, i Queen dopo la scomparsa di Freddie Mercury, e i Genesis da quando Peter Gabriel scelse la carriera solista.
Sì perché la band capitanata poi da Phil Collins, dopo quel fatidico 1974, di cose buone ne tirò fuori diverse; ma il fascino, l’intensità e lo spessore raggiunti nei dischi con l’arcangelo non furono mai più gli stessi.
Vale la pena dunque ripercorrere i primi passi del gruppo che, forse più d’ogni altro, in quegli anni incarnò lo spirito dell’innovazione espressiva, del cambiamento radicale di strutture e modi precostituiti: sviscerò l’essenza del rock-progressive.
Trespass (1970) l'inizio dei Genesis
Peter Gabriel: voce, flauto
Anthony Phillips: chitarre
Anthony Banks: mellotron, piano
Michael Rutherford: basso, chitarre
John Mayhew: batteria
Dopo il fallimentare tentativo del primo album “From Genesis to Revelation” (1968), episodio frettoloso e inconcludente, i Genesis tornano in studio di registrazione per mettere a punto i brani cha da lì a poco avrebbero portato in giro nei live-club britannici. Ed è proprio durante un concerto al Ronnie Scott’s di Londra che la band viene notata da Tony Stratton-Smith, il manager della neonata label Charisma. È l’episodio chiave di una storia che diventò, nel breve volgere di pochi dischi, leggenda.
“Trespass” è l’album che diede i veri natali ai Genesis e - al cospetto di un non certo esaltante risultato di vendite - rappresentò la base sulla quale costruire un suono riconoscibile e dal forte impatto emozionale.
Brani che emanano tranquillità e al contempo inquietudine, fortemente caratterizzati dalla voce lacerante di Gabriel, tra i quali spiccano episodi decisivi come “The Knife” con i suoi incredibili e repentini cambi di scenario, e “Looking for Someone”: sontuosa, teatrale e magnificamente progressiva, nella struttura e nell’andatura distante dalla song-form tradizionale. “Trespass” è considerato ancor oggi uno degli episodi più coesi dell’intera carriera della band, per via di quel suono già compatto, fascinoso e originale.
Nursery Crime (1971): il trionfo del sound Genesis
Peter Gabriel: voce, flauto
Steve Hackett: chitarre
Anthony Banks: mellotron, piano
Michael Rutherford: basso, chitarre
Phil Collins: batteria
Due nuove pedine vanno a inserirsi nello scacchiere dei Genesis: il batterista Phil Collins e il chitarrista Steve Hackett. Con questi elementi si delinea una line-up dal grande profilo tecnico ed espressivo. Peter Gabriel inizia a sviluppare in pieno le attitudini da frontman, dando sfogo – durante il tour di fine 1970 - alle sue performance da mimo tra un brano e l’altro, travestimenti, trucchi e racconti surreali.
“Nursery Crime” è il passo che porta la band nella storia del rock. Sette brani che entrano di diritto nella leggenda, tra i quali “The Musical Box” e “The Fountain of Salmacis”, anche se potremmo tranquillamente citarli tutti. Testi che narrano di posti immaginifici, tetri, colmi di fascinose metafore e personaggi fantasiosi. Le strutture musicali si fanno ancor più complesse e coinvolgenti, grazie alle lunghe melodie tastieristiche, al cantato più aggressivo e deciso di Gabriel, ai cambi di direzione, ai colori e ai suoni che sembrano arrivare da posti mai esistiti: è l’inizio, e forse l’apice, della meravigliosa stagione del prog.
Anche questo disco non vende moltissimo, ma la band – quasi ignorata in patria – raggiunge un inaspettato successo in Europa, e in particolar modo in Italia.
Foxtrot (1972)
Peter Gabriel: voce, flauto
Steve Hackett: chitarre
Anthony Banks: mellotron, piano
Michael Rutherford: basso, chitarre
Phil Collins: batteria
“Foxtrot” è un album di passaggio, ma non per questo meno importante, anzi. Contiene una serie di brani rodati nella ormai fitta attività live, che su disco assumono tutta la loro valenza e beneficiano di un lavoro in studio certosino, dettagliato, mirato. La band è perfetta, cosicché può permettersi di osare, riuscendo ad andare oltre le più rosee aspettative.
La seconda facciata dell’album è occupata dalla suite “Supper’s Ready” - un pezzo che entrerà fin da subito nella storia dei Genesis e della musica intera – divisa in sette movimenti dove il gruppo dà libero sviluppo a tutta la propria forza creativa: cambi di tempo e d’atmosfera, magnifiche parti strumentali, interpretazione melodrammatica, scenari onirici. Finalmente – grazie a brani dal grande impatto come “Watcher of the Skies” -anche l’Inghilterra si accorge dei Genesis: il tour del 1973 è un vero trionfo, con Gabriel sempre più leader e capace in scena di trasformarsi in volpe, fiore, fantasma, anziano. Fedele testimonianza di questo periodo è il disco “Genesis Live”, album che entrerà nella top ten inglese.
Selling England by the Pound (1973), la maturazione dei Genesis è completa
Peter Gabriel: voce, flauto
Steve Hackett: chitarre
Anthony Banks: mellotron, piano
Michael Rutherford: basso, chitarre
Phil Collins: batteria
Il capolavoro dei Genesis. È l’album più emozionante e ricco di simbologie della loro carriera. Si apre con la splendida, inaudita, mutevole “Dancing with the Moonlight Knight” – che dal vivo vede Gabriel travestirsi da Britannia -, alla quale segue la solare e baldanzosa “I Know What I Like (In Your Wardrobe)”. Continua con la monumentale “Firth of Fifth” – brano che ospita passaggi strumentali da brivido -, e termina con la geniale “The Cinema Show”, piena di risvolti e trovate formali fuori dal comune.
Il disco è un autentico successo anche sotto il profilo delle vendite, tanto che “I Know What I Like” è numero tre nella classifica inglese e l’album fa bella mostra in quella di Top of the Pops. Ma come spesso accade la popolarità non è sinonimo d’armonia; infatti è in questo periodo che iniziano i primi disaccordi e affiorano le prime incongruenze caratteriali tra Gabriel e il resto della band.
The Lamb Lies Down on Broadway (1974), l'ultimo Gabriel
Peter Gabriel: voce, flauto
Steve Hackett: chitarre
Anthony Banks: mellotron, piano
Michael Rutherford: basso, chitarre
Phil Collins: batteria
Con un doppio album si chiude idealmente la prima, importantissima, parte di carriera dei Genesis. “The Lamb Lies Down on Broadway” porta con sé, e in maniera amplificata, tutte le qualità che hanno reso quella di Gabriel una delle band più importanti della storia del rock.
Un lavoro cinematografico (per un film mai realizzato), concettuale, complesso e stratificato, che narra la storia di Rael, un teppista che gira per New York facendo graffiti sui muri della metropolitana. Rael, nel labirintico mondo del sottosuolo, incontra per la sua strada le anime perdute descritte in “The Carpet Crawlers”, “Slipperman”, “Lilywhite Lilith” e molte altre. Un viaggio tormentato, al termine del quale il destino dà a Rael la possibilità di redimersi.
È il disco meno inglese dei Genesis; musica e testi si sposano in maniera perfetta, il successo degli spettacoli dal vivo – sempre più imponenti e articolati – conquista fan e critica, ma qualcosa di sconvolgente cova sotto la cenere.
Nel 1975 Gabriel lascia i Genesis per intraprendere la carriera solista, Phil Collins passa dalla batteria alla voce: lo spettacolo prosegue, la magia svanisce, a noi non resta altro che questi splendidi dischi.
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