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Fabrizio De Andrč, il cantautore poeta.

La difficoltà, cari amici di Music Yes, nel cercare di esaminare le opere che il cantautore genovese ci ha lasciato - sia per la complessità che per il valore storico e culturale di altissimo livello - sta nel fatto che per realizzarlo in maniera “degna” bisogna avere una profonda conoscenza soprattutto dell’uomo e del suo modo di concepire la vita. Per questo, prima di provare a scrivere qualsiasi cosa, ho cercato di approfondire, a rispetto della qualità artistica (intesa come genio) le mie conoscenze sul cantautore.

Da giovane ascoltavo quasi con diffidenza De Andrè. Mi piacevano le sue storie, mi incantava il timbro grandioso e profondo della sua voce. Non mi entusiasmavano però le musiche dei primi lavori, che all’epoca trovavo superate e ritenevo mal registrati. La giovane casa discografica, infatti, non ha mai ricercato “finezze” sonore e non ha mai curato più di tanto le registrazioni del cantante, quasi non credesse nella riuscita. Oggi, con il remastering digitale, gli album di Fabrizio De Andrè hanno acquistato dettaglio ed ariosità, riuscendo ad aprire quelle sonorità “cupe” riferite soprattutto alle prime copie.

Biografia di De Andrè

Iniziamo con il dire che l’artista genovese se n’è andato nel 1999 lasciando in tutti noi una sensazione amara. Difficilmente si potrà trovare ancora una voce di tale calibro in una folta schiera di protagonisti che cercano di imitarne lo stile ed il modo di fare, ma che di talento non ne hanno affatto non riuscendo a conferire quella necessaria dignità e credibilità alle storie insite nei testi del cantautore.

Ricordo con estrema nostalgia l’artista perché tra l’81 e il ‘96 (nel pieno della mia giovinezza) grazie a quattro album capolavoro - “Indians”, “Creuza de ma”, “Le nuvole” “Anime salve” – ha creato un linguaggio che definirei universale ove la lingua madre e le forme dialettali convivono senza forzature e dove gli strumenti musicali utilizzati provengono dalla tradizione popolare. Questo modo di fare musica ha aperto certamente la strada ai vari generi musicali (etnico - mediterranei) attualmente molto apprezzati. In questo breve articolo riporterò solo alcune opere che ritengo possano far comprendere compiutamente l’artista, il poeta e l’uomo.

Storia di un impiegato

Esce nel 1973 “Storia di un impiegato” che nasce dalla collaborazione con Giuseppe Bentivoglio e il maestro Nicola Piovani. L’opera si svolge attraverso otto movenze precedute da un’introduzione come se fosse (quasi) un concept - album ed è, sinteticamente, il racconto di una sconfitta e di una redenzione. Se volessimo ampliare leggermente il significato del disco diremmo che si tratta della narrazione - quasi visionaria ma lucida - di un percorso umano che parte dalla solitudine (intesa come esistenziale) per giungere alla consapevolezza di appartenere ad una più ampia collettività. Questo concetto si può ritrovare nel brano “Canzone del maggio” più precisamente nella frase: “per quanto vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti” (forse liberamente tratta da un canto di protesta degli studenti parigini del maggio '68).

Considerando “musicalmente” le opere di Fabrizio De Andrè, emerge che in molte di esse è presente la cosiddetta “canzone sociale”: i testi hanno un’aria vagamente cospiratoria e sembra che facciano riferimento ad una esperienza acquisita dall’artista. A mia memoria, nessun artista italiano ha saputo parlare del quotidiano e del sociale con la stessa forza e determinazione. Difficile trovare un altro artista, inoltre, che ha narrato con la stessa fantasia le sue storie, raccogliendo un fedele seguito di appassionati che nei testi e nella voce ritrovano il loro disagio e il desiderato sollievo ai problemi ed alle incertezze. La musica di De Andrè, in sintesi, è stata per molti quasi un segno, oserei affermare una denuncia alle tante sofferenze comuni.

I capolavori di De Andrè

Molti, fra i quali il sottoscritto, esaminando accuratamente le diciotto opere che il cantautore ci ha lasciato, si sono resi conto che sono tutti, indistintamente, dei veri e propri capolavori della musica italiana. Ad esempio “Creuza de Ma”, è il caposaldo attorno al quale ruota gran parte della produzione musicale degli anni ’80 e 90, e costituisce l’intuizione che ha portato alla riscoperta delle radici etniche ed alla nascita di una matrice folk della nostra canzone. L’album è a mio avviso uno dei più belli in quanto si scopre un cantautore estremamente intelligente, sapiente e capace di cantare nel suo dialetto mantenendo sempre il contatto con la modernità. Molti critici hanno affermato che con questo album De Andrè si trasforma in musicista riuscendo a tracciare quasi un ritratto della nostra canzone.

Non posso che chinarmi ad una così bella espressione che racchiude, in sintesi, tutto ciò che ho cercato, nella mia umile recensione, di far emergere. Vorrei aggiungere solo che ritengo il modo di realizzare musica di Fabrizio De Andrè riconducibile quasi ad una sfida a se stesso nonché di “analisi” della sua capacita di inoltrarsi oltre i limiti imposti dalla condizione di cantautore “serioso” che la stampa gli aveva spesso attribuito. Come già accennato in precedenza, è anche grazie all’apporto di Mauro Pagani che il cantautore genovese ha scritto una pagina incancellabile della canzone italiana.

Negli anni caldi della contestazione studentesca, sul finire degli anni sessanta, venivano pubblicati dalla casa discografica milanese Belldisc -attiva dal 1966 al 1969- due album del cantautore genovese che balzarono al primo posto delle classifiche sbaragliando gruppi come i Led Zeppelin ed i Beatles. Grazie a questo inaspettato successo, Fabrizio De Andrè si afferma quale cantautore e le sue opere diventano quasi oggetti di culto. Il primo di questi successi è “Volume III” che conteneva molte delle sue canzoni “classiche”. Il secondo lavoro “Tutti morimmo a stento”, che di getto potremmo catalogare come uno dei primi concept – album realizzati in Italia, aveva quale concetto centrale nonché filo conduttore, le vicende umane in particolare degli emarginati, con le loro debolezze. Se analizziamo bene i testi, scopriremo che nella realtà sono delle vere e proprie poesie che riescono a sprigionare, già dalla semplice lettura, emozioni.

Se riferite al tempo della loro pubblicazione, inoltre, si capisce come determinati testi erano in grado di “sostenere” le idee dei giovani, a decisa condanna dell’egoismo, del moralismo e dell’insensibilità di molti contro qualsiasi forma di potere che non fosse rivolto al benessere della collettività. Dallo studio della realizzazione del disco, scopro che l’opera presenta pagine molto belle sulle note di un’orchestra sinfonica diretta dai fratelli Riverberi. Inoltre, i versi composti da De Andrè non cedono mai al romanticismo mantenendosi scarni e dolorosi. Basta ascoltare con attenzione “Ballata degli impiccati”, “Recitativo” e “Cantico dei drogati”.

Quale opera ascolto più volentieri? Certamente “Indians”. Inizialmente questo disco era privo di titolo ed è stato ribattezzato da tutti con questo nome. È il primo registrato dal cantautore dopo il sequestro subito in Sardegna nel 1979. Possiamo definirlo, senza sbagliare, come l’inizio del nuovo corso creativo. Cerco di immaginare quali siano state le emozioni, i pensieri, le sofferenze dell’uomo Fabrizio durante il periodo in cui è stato sequestrato (insieme alla moglie). Quello che colgo - riferito alle emozioni - nell’ascolto dell’opera è certamente l’estrema sofferenza dell’anima legata a quel lungo e tormentato periodo, che l’autore ha voluto condividere attraverso le sue musiche ed i testi.

A mio avviso, i proprio i testi possono essere ricondotti a veri messaggi di solidarietà in direzione dei poveri, emarginati, ultimi, di coloro che forse hanno avuto la sfortuna di nascere in un posto ed in un periodo sbagliato. Credo che da quanto letto nei suoi testi, posso affermare che il cantautore avesse perdonato gli autori dell’eclatante gesto e lo abbia fatto anche con il “fiero popolo sardo”, paragonandolo agli indiani d’America. A mio avviso è doveroso sottolineare che l’album in questione è nato dalla collaborazione di Massimo Bubola uno tra i cantautori i più importati e significativi in Italia. Bubola è colui che ha scritto più di ogni altro con Fabrizio De Andrè, firmando con lui le musiche ed i testi di ben 21 canzoni. Dalla collaborazione con Bubola nascono due album storici “Rimini” 1978 e “l’Indiano” 1981.

Per ultimo vorrei citare il disco “Anime salve” che uscì nel 1996. Questo album ha accompagnato i miei ventisei anni, epoca in cui riscuotevano successo soprattutto gruppi rock e un certo tipo di musica. Fabrizio De Andrè è riuscito ad emergere dal convenzionalismo musicale dell’epoca riuscendo con originalità ad esprimersi come poeta e musicista. Nessuno poteva pensare che i testi sarebbero state le sue ultime poesie, la fine di un’avventura umana ed artistica. Negli ultimi anni, Fabrizio si era via via liberato dall’influenza dei suoi maestri ispiratori francesi che tanto lo avevano condizionato nella formazione culturale e poetica, per approdare ad un nuovo stile unico ed inimitabile, dove il singolo verso, la singola parola finivano per riassumere un qualcosa di diverso rispetto a tutti gli altri artisti.

La collaborazione con Ivano Fossati, in questo caso, si rivela vincente. La voce del cantautore è talmente profonda che riesce a entrare nell’animo dell’ascoltatore, le sonorità richiamano da lontano “Creauza de Ma”, ritornano e si fondono con i nuovi testi a mio giudizio fra i migliori di sempre. Nel brano “Princesa” canta le inquietudini di un transessuale brasiliano mentre in “Disamistade” troviamo semplicemente il valore etico e morale della sua arte, del modo di pensare.
Molto spesso sono state proposte delle raccolte le cosiddette “opere complete” dell’artista. Ne ricordo una di ben 14 CD proposta dalla BMG - Ricordi nel 2000. I dischi del cantautore genovese in vinile e CD sono ricercati sia nei negozi specializzati che sui mercati dell’usato. Difficile trovare copie ben conservate, ma con un po’ di buona volontà e costanza, tutto è possibile. Come già detto in precedenza, consiglio a chi piace ascoltare musica in alta fedeltà, le ristampe rimasterizzate disponibili sia in vinile da 180 g che in CD che, dal punto di vista sonico, sono nettamente superiori alle prime stampe.

De Andrè ha dunque consegnato alla storia canzoni che sono entrate a far parte stabilmente della cultura musicale italiana e che hanno riscosso anche un importante interesse internazionale. Infatti, un brano scritto insieme a Bubola, “Quello che non ho”, è stato inserito in un film di Win Wenders, che considera l’opera “l’Indiano” uno dei più bei dischi di sempre. Solo ora, dopo tutti questi anni, mi sono reso conto che Fabrizio con le sue parole forti e luminose, ha cercato di farci capire cosa sono le “certezze” della vita. Inoltre, ha dimostrato quanto grande possa essere la ricerca musicale legata al testo di una canzone, che si riassume in: poesia, musica, emozione, dolore, speranza.

Giuseppe Alesii


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